Gary Hemming

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Ritratto di alberto_pezzini
alberto_pezzini

Un libro storico. L’opera più classica e levigata su Hemming. La Tenderini deve avere limato questo testo infinite volte. Per farlo secco e senza una sola virgola in più. E’ un libro abbastanza agile ma racchiude dentro di sé cento vite. Quelle di Hemming.

Chi era costui lo sappiamo. Diventa un alpinista famoso, meglio un avventuriero della montagna, dopo il salvataggio del 1966 al Dru. Da allora la sua vita compie una virata da cui non si può tornare indietro. Tanto che a Chamonix non riesce quasi più a stare tranquillo. Sono troppi gli ammiratori o soltanto quelli che vogliono vederlo.
Uomo che nasce il 13 dicembre del 1934. Nasce il giorno di Santa Lucia, quando la notte è lunghissima ed il clima spazza il cuore come un deserto di brina.
Ha un temperamento elfico, allegro, ma pericoloso nelle sue collere improvvise. Arrivano come un clic che scatta al buio.La montagna lo attira da subito. Dagli Stati Uniti arriverà in Francia quasi per opera di un’attrazione misteriosa. Ma naturale. Gary Hemming si svela al grande pubblico soltanto dopo il 1966, quando conosce da vicino la notorietà. Dopo questo salvataggio tutti si rendono conto che quello straccione bizzarro, dal sorriso che disarma, è anche un grande alpinista.Un giornalista di Paris Match gli si incolla fino a quando Hemming non gli scriverà l’articolo portante sul salvataggio. E’ un successo. Hemming è capace di scrivere finalmente di montagna in maniera comprensibile. Ed avvincente. Prima la letteratura di montagna era quasi soltanto ridotta al ruolo di ancella sterile:soltanto documenti e resoconti zeppi di dati. Che annoiano e possono soltanto far gola agli alpinisti. Con Hemming esce un pezzo che illumina la montagna dal lato umano. Gli anni 60’ irrompono in quell’articolo che segna una svolta. Un modo nuovo di concepire la montagna. Hemming è anche questo:l’umanizzazione profonda e consapevole della montagna.
Il desiderio di diventare scrittore diventa occasione da prendere dopo il salvataggio. Un editore francese gli versa un anticipo, gli mette a disposizione una casa ed un traduttore. Scriverà un libro di montagna - un patchwork vero e proprio - modellato soltanto su sé stesso.
Non sarà un libro di montagna vero e proprio ma la sua vita scritta dalle pareti più difficili:quelle della sua anima. Il libro non verrà pubblicato perché non si era ancora pronti a scavalcare la barriera canonica della letteratura di montagna. Hemming è un precursore anche in questo. E’ il primo vero alpinista dell’anima.
Incarna una figura terribilmente attraente. Alto circa un metro e novanta, dotato di occhi chiari che parlano da soli, con un sorriso capace di aprire decine di cuori. Assolutamente inaffidabile. Amante delle salite in solitaria ed in piena riservatezza. Alpinista che fa comprendere come anche gli americani possano esprimere figure capaci di competere in alta montagna con gli europei. Teme il ghiaccio e vi si arrampicherà sempre con qualche riserva. Dotato di un’altra qualità solitaria come lui:un’inclinazione naturale a salvare le persone. E’ questa la molla che lo induce a compiere il salvataggio del Dru. Fautore della montagna “pulita” ante litteram:per lui la scalata deve essere leale ad ogni costo, tranne che per salvarsi da qualche pericolo inevitabile. Scrive un articolo eloquente sulla sua concezione dell’alpinista che viene pubblicato nel 1964 sulla rivista La Montagne et Alpinisme. Lo scrive in collaborazione con la sua eterna compagna della sua vita mortale:Claude. Donna solida, eccessivamente rispettosa degli spazi vitali di Gary fino al sacrificio di sé stessa, gli dà una figlia.
Gary è uomo dalle mille fami:di donne, di contatti umani, di case ove abitare. Quando è a Parigi invia cartoline agli amici e vi scrive “Io abito qui” indicando un ponte a caso sulla Senna. Veloce come il vento nei suoi spostamenti febbrili. Era ammalato di dromodismo. Era un nomade della montagna ma soprattutto della vita. Aveva la necessità impellente di muoversi e di non restare nello stesso posto per un po’. Trascorre qualche periodo di calma. Ogni tanto la quiete interrompe quell’ansia divorante di affamato che lo attanaglia. Con Claude conosce momenti di quiete, di calore familiare. Non si danno fastidio. Capiscono entrambi gli spazi reciproci. Gary, come tutti gli uomini che appartengono alla sua categoria ( quella dei maledetti ) ha bisogno di arresti dell’adrenalina. Ha necessità di zone di quiete in cui scaricare l’eccesso che lo preme da dentro. Ha occhi stupendi e sorriso da mentitore. Le sue menzogne sono anche un sortilegio per difendersi dalla curiosità. E’ riservato e non ha voglia di far conoscere chi è veramente. E’ un camaleonte giocoso ferito a morte da sé stesso. E’ un beatnik, ma non della montagna. Dell’anima.
Non cura l’abbigliamento. E’ disordinato nel vestire. La foto più famosa lo ritrae con un maglione rosso sdrucito, anzi bucato, una zazzera bionda scomposta su di un viso da cavaliere stanco, scarponi vissuti. E’ un Bruce Chatwin dell’alpinismo. Sembra quasi di intravedere le fiammelle del fuoco che lo brucia e lo consuma da vivo. Forse l’inquietudine che lo accompagna da quando è nato è un’anticipazione inconscia della morte. Sembra quasi che Hemming non rinunci mai a salvare le altre persone a costo di mettere a repentaglio sé stesso. Cerca la morte ? O la vita dentro la morte? Cerca di scacciare una dea dagli occhi bui con mille vite dagli occhi che battono di vita?
La sua fine è brutta. Fa quasi paura. Resta avvolta in un mistero che sa di sudario. E di impenetrabilità. Resta un giallo la morte di Hemming. Non si sa se si sia sparato oppure se altro sia accaduto. Forse Hemming muore molto prima di quella notte in cui incontra i vecchi amici e beve fino a stordirsi. Fino a cercare la lite pur di sentirsi vivo o di cercare una riparazione per una vita che sente come preda di un’assoluta sconfitta. E’ questa la dea bendata che uccide davvero l’alpinista dell’anima. Un senso amarissimo di sconfitta. E forse di solitudine in un momento in cui non c’erano più baluardi dietro ai quali cercare riparo. Non c’era più la fama:il ritorno negli States coincide con una resa apparente davanti alla vita. Molti gli rimproverano di avere perso la testa per la celebrità. Soprattutto di non avere più recuperato un equilibrio da alpinista mentale dopo che la celebrità si era spenta.
Il suo temperamento troppo giocoso - dopo il bagno di fama e riflettori - aveva virato all’improvviso verso la melanconia. La forma più perniciosa della inclinazione umana verso la vita. Quella più distruttiva.
La diagnosi del coroner fu suicidio. Le ipotesi furono molteplici. Come osserva la Tenderini in maniera convincente, però, non cambia niente. Non importa che sia stato suicidio, oppure una sfida disperata alla roulette russa nella speranza che il destino potesse aiutarlo. Né ha importanza che Gary fosse sotto l’effetto degli allucinogeni. Quello che importa è che con lui muore un eroe degli anni 60’, un salvatore delle montagne. Un personaggio uscito quasi dalla penna de Il Signore degli Anelli. Un uomo dentro il quale le radici non devono essere comunque mai gelate nonostante la morte.
Tenderini scrive nelle pagine conclusive di questo libro - che resta uno dei ritratti più vicini anche al lato oscuro dell’uomo – come la serie dei fallimenti sentiti da Hemming nella sua sfera personale lo abbia ucciso prima di tutto.
E scrive anche come soltanto nell’alpinismo il bel Gary abbia trovato quell’equilibrio che la vita gli ha negato nelle altre sfere.
Di lui restano troppe poche tracce. Dopo aver riletto la sua biografia, ed aver gustato uno stile che fa di questo libro l’opera più riuscita della Tenderini, ho ordinato via internet il numero – non mi ricordo più la cifra esatta – del settembre 1966 di Paris Match. Lo sto ancora aspettando.