Contrabbandieri

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Ritratto di maurizio
maurizio

Ancora una volta un dettagliato studio storico su una realtà locale, quella della Val d'Ossola e degli attigui cantoni svizzeri di Ticino e Vallese, ci precipita in un mondo che non esiste più (fortunatamente, per molti versi).

L'immagine che del contrabbandiere ha un giovane del XXI secolo è probabilmente quella dello scafista, un vero e proprio delinquente che, senza scrupoli e per brama di guadagno, trasporta in modo illecito merci in qualche modo proibite: navi intere di sigarette, prodotti contraffatti, stupefacenti, armi ed ora, da qualche anno a questa parte, vite umane. Più che contrabbando, parola ormai un po' desueta, si parla di "traffico", di "reti di trafficanti", di "organizzazioni malavitose". Nulla di tutto ciò riguarda il contrabbando "storico" nelle alte vallate alpine, ed in particolare in quelle studiate dal presente volume.
Semplicemente dei montanari non riuscivano a capire perché fosse proibito acquistare della merce dove costava meno e rivenderla dove il prezzo era più alto, indifferentemente dal fatto che da un versante all'altro della montagna cambiasse il potere politico, ugualmente lontano dalla propria vita quotidiana. Il guadagno era di pochi spicci, quelli indispensabili al bilancio familiare; l'alternativa era la fame e l'emigrazione.
Certo l'esiguità del controvalore della merce non ha influito sulla serietà di questo "gioco delle parti", lasciando sul terreno diverse vittime nei due schieramenti, quando poi non erano la natura o il destino a pretendere il loro tributo in vite umane stroncate dalle valanghe o dai più vari incidenti di percorso. Si ritrova comunque un senso di rispetto per la controparte: "lo facevano per bisogno" dicono le guardie; "facevano il loro mestiere" dicono gli ex-contrabbandieri. Perciò esistevano dei limiti oltre i quali non era lecito andare: l'uso eccessivo delle armi, ad esempio. L'uccisione del contrabbandiere Giuliano Olzer da parte di una recluta della finanza nel 1962 squarciò un velo che mascherava una realtà ormai cambiata: gli spalloni vecchio stampo si sono resi conto di stare lasciando il posto alla malavita organizzata, e per i molti che contrabbandavano per tradizione era giunto il momento di dire basta. Racconta un testimone: «Ho piantato lì quando il contrabbando è finito in mano alla delinquenza. Non c'era più bisogno di farlo, c'era solo la brama dei soldi facili. [...] Non volevo accettare di dover andare in giro con la rivoltella in tasca e diventare un ladro o un assassino». (p.198)
Il volume è anche ricco di curiosità: la prima di esse è la suddivisione del contrabbando in epoche contraddistinte dalla merce prevalente: in primis furono il caffè (crudo) e lo zucchero, poi il riso (in direzione Italia-Svizzera durante la seconda guerra mondiale), infine "le bionde"; ma sulle spalle degli "sfrositt" viaggiava di tutto, dai salumi, alle biciclette, ai preservativi.
Era una guerra fra poveri a cui lo studio di Erminio Ferrari rende giustizia, ricollocandola nella sua giusta dimensione, fuori dalle colonne di cronaca nera dei giornali dell'epoca.