Joseph-Marie Henry

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Nato a Courmayeur nel 1870, Joseph-Marie Henry, meglio conosciuto come l'abbé Henry, è stato l'ultimo rappresentante di quel tipico clero valdostano del XIX secolo, appassionato di montagna, di scienza ed attento all'evoluzione della società.

Il suo campo d'azione ha spaziato dal vero e proprio alpinismo (ha nel suo palmarès tutte le ascensioni classiche e molte prime assolute), alla botanica (fu presidente della Société de la Flore Valdôtaine per quarantasei anni), alla storia (scrisse numerose opere tra cui un vero e proprio best seller dell'epoca: L'Histoire populaire religieuse et civile de la Vallée d'Aoste, 1929), alla scienza glaciologica, all'economia (fu propagandista della "novità" del tempo costituita dalle cooperative), all'agricoltura (fu un sostenitore del metodo Solari, che prevedeva una rotazione delle colture per aumentare la produzione), alla politica ed al giornalismo (fu un feroce avversario di liberalismo e socialismo, che combatté sulle colonne del Duché d'Aoste); infine si dedicò anche alla filologia applicata alla toponomastica ed alla redazione di racconti e di testi teatrali in patois.
E' dunque estremamente difficile riassumere in poche righe una personalità così ricca di sfaccettature: ci limitiamo in questa sede a ricordare le sue imprese alpinistiche e la sua opera di insigne naturalista.
Figlio di una delle più celebri guide di Courmayeur, l'abbé Henry contrasse fin da piccolo quello che lui chiamava "le microbe de l'alpinisme".
Salì alla ribalta il 5 agosto 1893, quando celebrò per la prima volta la messa sulla vetta del Monte Bianco. In seguito, trasferito in qualità di viceparroco a Cogne, ebbe l'occasione di conoscere e collaborare con l'abbé Chanoux alla realizzazione del celeberrimo giardino botanico Chanousia. Creò persino un suo giardino personale a Courmayeur, che però dovette abbandonare nel 1903, quando fu nominato parroco di Valpelline. In questa località iniziò uno studio a 360°: topografia, usi e costumi, flora e climatologia. Ne scaturì la prima guida della zona, che contribuì molto a far uscire la Valpelline dall'anonimato. Scalò praticamente tutte le montagne del circondario, buona parte in prima assoluta, e diede alle varie punte i nomi dei suoi amici sacerdoti.
Di carattere burbero, ma di animo buono e sincero, era tenuto in grande considerazione sia negli ambienti alpinistici che botanici. Fu infatti chiamato più volte a tenere conferenze a Torino, Milano e Genova; delle sue ascensioni esistono le relazioni pubblicate sui bollettini dei club alpini italiano, francese e svizzero. In campo naturalistico era considerato un'autorità, tanto che numerosi accademici collaboravano volentieri al Bulletin de la Flore Valdôtaine di cui era l'animatore. La sua notorietà non tramontò in vecchiaia, tanto che sul finire della seconda guerra mondiale, arrestato nel corso di un rastrellamento e tradotto ad Aosta, gli bastò declinare le sue generalità perché l'ufficiale tedesco lo facesse rilasciare con tante scuse.
Fu sempre un sostenitore di un rapporto un po' mistico con la montagna e la natura: amava l'alpinismo solitario. Diceva che la migliore compagnia di un alpinista è il non averne, perché solo così si può godere di quella della montagna, anche perché quest'ultima parla a voce bassa e c'è bisogno di silenzio e solitudine per sentirne la voce.
Morì improvvisamente a 77 anni, mentre accudiva al suo giardino in compagnia delle sue api.