Tra i tanti ricordi scolastici che ognuno di noi ha, vi è quello più o meno bello del “tema”, presentato dall’insegnante di turno come “specchio della personalità”. Anche l’arte figurativa è certamente leggibile come una esternazione del proprio universo interiore. Dunque parole ed immagini riunite insieme non possono che rappresentarci pienamente ciò che di una persona (l’autore) i più potrebbero non conoscere: la sensibilità, la dimensione interiore. In 126 scatti proposti in grande formato, il grande pubblico può scoprire il vero Abele Blanc: quello che esiste oltre la notizia dell’ennesimo 8000 che si è aggiunto alla sua collezione. Non che manchino le immagini di terribili montagne, tali da indurre soggezione già in fotografia, ma l’impressione che ci lasciano non è certo quella della becera cultura del “no limits”. Tutt’altro. Se mi è permesso usare una mia immagine di fantasia, adotterei quella classica del pellerossa che attraversa da solo una natura incontaminata e gigantesca, ma in silenzio come solo loro sapevano fare, semplicemente perché erano “natura” loro stessi. L’Abele Blanc che si accompagna alle parole di grandi poeti (lo stesso titolo del libro, piuttosto inconsueto, è di Rimbaud) lungo i sentieri di Nepal, Tibet, Argentina e Pakistan, è lo stesso che guarda la propria terra natale e vi scopre gli stessi antichi segni di unità tra l’essere umano e la natura, tra ciò che si prova dentro e quanto ci è stato creato intorno. Quante volte ci siamo sentiti dire che certi spettacoli offerti dalla natura sono il modo migliore per avvicinare il nostro cuore a Dio? E infatti così è. Ma questa volta l’affermazione vale anche per le foto “animate”, quelle cioè dove è ritratta l’opera dell’uomo o addirittura egli ne è l’unico soggetto. “C’è in ogni paese qualche cosa di troppo: gli abitanti”, si dice con ironia nel commentare una veduta sui tetti di Vens, quasi che la loro lontananza li renda più belli. Invece poche pagine dopo, il capitolo dedicato all’Uomo ci fa pensare come sia proprio questo essere a rendere così grandiosa la vita: sguardi lontani, distratti o rubati, ci impongono il silenzio e un momento di riflessione. Sono volti veramente impressi sulla carta o è la nostra coscienza che li proietta sul foglio? Spesso non servono degli scoop o le cosiddette immagini-choc. La realtà di una dignitosa povertà, il sorriso di una madre o lo sguardo serio colto durante il lavoro bastano a farci capire che “gli altri” ci guardano, e lo fanno da dentro. Allora dopo tanto viaggiare, scalare, vedere, rischiare, cosa resta? Resta la vita, al proprio posto, con i propri affetti e nella propria terra. Ma restano anche tutte quelle esperienze che permettono di inquadrare nella giusta proporzione le piccolezze e le miserie di tutti i giorni. Di certo noi non potremo ripercorrere tutti i sentieri di Abele Blanc, e probabilmente anche se lo facessimo ne ricaveremmo delle impressioni diverse. Possiamo però ricevere il messaggio che ci viene offerto e scorrere le pagine di un libro fotografico con la lentezza propria delle ascensioni in alta quota, perché esso possa trasformarsi in una boccata di ossigeno per l’anima.
E ho visto a volte quello che l'uomo ha creduto di vedere
Tra i tanti ricordi scolastici che ognuno di noi ha, vi è quello più o meno bello del “tema”, presentato dall’insegnante di turno come “specchio della personalità”. Anche l’arte figurativa è certamente leggibile come una esternazione del proprio universo interiore. Dunque parole ed immagini riunite insieme non possono che rappresentarci pienamente ciò che di una persona (l’autore) i più potrebbero non conoscere: la sensibilità, la dimensione interiore.